Le mura di Pescara raccontano…il mito dei condottieri di ventura.

Nell’Italia delle signorie tra il 14° e il 15° secolo assunse grande rilievo la figura del capitano di ventura. Si trattava di valorosi condottieri che alla guida di compagnie di mercenari si offrivano ai signori feudali per le loro guerre di potere. Muzio Attendolo Sforza e Braccio da Montone furono tra i principali capitani di ventura che la storia ricordi e le loro vite si intrecciarono più volte fino al comune epilogo nelle terre d’Abruzzo. Giacomo Attendolo (“Giacomuzzo”, quindi “Muzio”) nacque in provincia di Ravenna nel 1369 da famiglia benestante, fu soprannominato “Sforza” per la notevole forza fisica e per la sua instancabilità in battaglia.

Andrea Fortebracci detto Braccio da Montone per via del castello di Montone che possedeva la sua famiglia, nacque a Perugia nel 1368. Entrambi da giovani si avviarono alla carriera militare arruolandosi nella compagnia di Alberico da Barbiano dove si forgiarono insieme, amici e rivali, all’uso delle armi e alla tecnica militare. Le loro strade successivamente si separarono per poi incrociarsi continuamente negli anni a venire.

Nel 1398 il Fortebracci, la cui famiglia era stata esiliata da Perugia, iniziò a combattere per la Chiesa contro la cittadina umbra mentre lo Sforza proprio alle fazioni perugine avverse offriva i suoi servigi militari. La città venne infine conquistata dai Visconti di Milano e lo Sforza passò al loro servizio. Nel 1414 i due si scontrarono nuovamente a Todi questa volta con l’Attendolo sotto le insegne del Regno di Napoli mentre Braccio difendeva gli interessi dell’antipapa di Firenze Giovanni XXIII.

Nel 1416 il Fortebracci riuscì finalmente nel suo intento di riprendersi Perugia, infatti, sconfitta la fazione dei Raspanti a lui avversa, gli venne dalla stessa offerta la Signoria. Dopo poco tempo anche tutto il resto delle cittadine umbre lo invocarono come loro Signore.

Nel frattempo Muzio Sforza si legava ai destini di Giovanna II di Napoli, ebbe il titolo di Conestabile e quindi un posto a corte. La veloce espansione di Braccio nel territorio umbro convinse il Papa Martino V a chiedere aiuto a Giovanna II di Napoli che inviò le truppe dello Sforza ma quest’ultimo venne sconfitto in una memorabile battaglia in Spoleto. Nel 1417 il Fortebracci tentò l’assedio alla città di Roma ma ne fu scacciato dall’intervento dello Sforza che invece sconfisse tre anni dopo. Lo scontro finale avvenne nelle terre abruzzesi e fu uno scontro tutto interno al Regno di Napoli. Nell’anno 1424 quando Braccio per conto di Alfonso V d’Aragona conquistava diversi territori in Abruzzo fino all’assedio dell’Aquila, Giovanna II che voleva unificare tutto il Regno e non poteva quindi accettare la minaccia aragonese su l’Aquila, mandò l’Attendolo a contrastare il suo temibile rivale perugino.

Le milizie dello Sforza provenendo da sud si bloccarono sul fiume Pescara in piena, non riuscendo a superarne le acque minacciose. Il condottiero ravennate sprezzante di ogni pericolo, per incitare i suoi uomini, si gettò in avanti ed era ormai ad un passo dall’altra sponda quando un paggio del suo seguito stava cadendo in acqua ed egli si fermò subito per prestargli soccorso. Il suo cavallo nella manovra di salvataggio perse il contatto con il terreno e lo Sforza scivolò nelle acque tumultuose sparendo in un attimo tra i flutti. Morì affogato anche a causa del peso dell’armatura. Il suo cavaliere riuscì comunque a salvarsi e le sue truppe poterono successivamente proseguire sotto il comando del figlio Francesco.

Intanto i bracceschi continuavano l’assedio dell’Aquila che sorprendentemente riusciva a resistere contro un esercito cosi vasto e ben armato. Si narra che alla notizia della morte dell’acerrimo rivale, il Fortebracci non si rallegrò affatto ed anzi ebbe un presagio funesto che gli annunciava la sua fine imminente. In effetti qualche mese dopo, sempre nel 1424, nella battaglia finale per l’Aquila tra le truppe braccesche e quelle dello Sforza affiancate da altri capitani di ventura coalizzatisi, il condottiero umbro venne gravemente ferito e morì. Secondo alcune narrazioni furono degli esuli perugini a lui avversi a sferrargli il colpo di grazia, secondo altre narrazioni fu proprio la mano di Francesco Sforza.

Muzio Attendolo Sforza fu il capostipite della illustre casata Sforza che governò il Ducato di Milano nel 15° e 16° secolo. Tra i discendenti dello Sforza troviamo anche un altro capitano di ventura: il famoso condottiero mediceo Giovanni dalle Bande Nere. A Pescara, una delle testate del Ponte Risorgimento ricorda gli accadimenti di quasi 600 anni fa e la fine di Muzio Attendolo Sforza nelle acque del fiume.