Pescara la forte

Riproponiamo un bel ritratto di Pescara tratto dal libro “Un mese negli Abruzzi. Impressioni di Cesare Malpica” del 1845.

Calabrese di nascita, fu avvocato e giornalista a Salerno e Napoli. Aveva idee convintamente liberali, tanto da partecipare anche alla rivoluzione dei “filadelfi” nel 1828 in cui venne anche arrestato. Particolarmente pregevole è la sua opera, una sorta di diario di viaggio all’interno del Regno delle Due Sicilie. Il testo è interamente scaricabile da google books per chi volesse cimentarsi in questa lettura piacevole. Di seguito vi riporto l’estratto che riguarda il nostro teritorio.

…Oh il meraviglioso paese che è il nostro. A un tratto la duplice catena di monti si dilata, l’orizzonte si allarga ; e tu vedi, come per incantesimo, sorgere inaspettati i baluardi d’una fortezza, colla loro linea semplicemente severa, bruni, erti, minacciosi. Li fiancheggia una picciola selva d’alberi sfrondati, di cui vedi solo le cime. Lungi, come fondo del quadro si stende una pianura, di cui non puoi misurare la vastità; un deserto verdastro, risuonante, interminabile, ingemmato dal sole, folgoreggiante. Inchinatevi col pensiero… quello è il mare; la parlante immagine della immensità del Signore, è il fremente Adriatico; il solitario, e non mai lieto Adriatico. T’appressi, e – Varcato un primo recinto di bastioni vedi riapparire alla tua manca il fiume , che avevi perduto di vista ; la torbida Pescara, che corre ad essere ingoiata dal mare, là dove la linea de bastioni finisce. Correndo su per l’angusta lingua di terra che sta fra le mura e il fiume, vedi i trabaccoli di cui scorgesti gli alberi; gli svelti, leggeri, e graziosi legnetti che soli di continuo solcano l’adriatico ; gli uccelli che recano dall’una all’altra sponda le merci e i prodotti del suolo; vedi lo scafo che deve traghettare all’altra riva te, e la carrozza che ti mena, e – t’ar resti innanzi alla porta. Al di fuora, a due lati della porta s’alza un loggiato coperto : è il loggiato della ca serma. Di sotto, a man manca, s’apre nel muro una linea di finestrelle, o spiragli se vuoi, dalle imposte massicce, dalle sbarre ferrate; quello è il bagno, la tremenda prigione del servi di pena. Entrando trovi una via lunga quanto i bastioni , avente questi a ritta colla caserma, e a manca una linea di casette.
Tra le case s’aprono due o tre stradette, che menano a un’altra strada parallela alla prima , la quale a ritta e terminata dalla così detta piazza della città, a manca dall’arsenale. E – e questa è Pescara. – Piazza d’armi, non suona che d’armi e d’armati; non vedi in essa che divise uniformi, fucili, e cannoni, e a quando a quando, in mezzo a soldati in armi, galeoti colla giuba rossa ad armacollo, e colla catena a piedi, presidiari in giuba di color giallo, e col picciolo anello di ferro alla gamba.
Infelici ! e quell’aere aperto, quel moto, la fatica, son per essi un conforto – un conforto ehe rattempra la
giusta severità della legge che offesero.
Era il giorno onomastico del Principe che dovrà reg gere i destini del Regno quello. Quindi i trabaccoli eran pavesati, la bandiera Reale biancheggiava sventolando su gli spaldi, il bel battaglione di cacciatori, formante il presidio, vestiva la sua semplice e graziosa divisa di gala, una musica guerriera risuonando dalla caserma annunziava che le schiere uscivano a ringraziare l’Altis simo, che tiene in pugno il cuore de’ Re, nella fausta ricorrenza. Era una scena magnifica e tutta militare, che imprimea un’aria di vita nella silente Pescara. Le trombe squillavano, la Fanfare sciogliea i suoi accordi, le campane suonavano, le donne facean capolino dalle finestre, gli uomini faceano ala su la via, le sentinelle portavan l’armi ; e in mezzo a questi suoni vari, a questi aspetti vari, udivi il grave passo delle compagnie marcianti in battaglia, alla voce del capi, vedevi splendere tra le bajonette, e le bandiere delle guide il verde e il giallo delle uniformi, gli spallini e le gorgiere d’oro – Uffiziali e soldati presentavano uno spettacolo magnifico.

I L COLLE VOLUTTUOSO
Colle delizioso di Castellammare che t’alzi a rimpetto della piazza colle tue case che son casini , sparse
fra gli alberi verdeggianti , co’ tuoi poggi incantevoli, co’ tuoi giardini, colla tua chiesetta, colle tue ombre
romite, io non saprei vagheggiarti, perchè – ho l’anima disposta alla tristezza. Certo tu sei albergo di ricchi….